lunedì 1 novembre 2010

Buttafuoco e il Teatro Stabile


(Ph Valerio D'Urso)

Contorni “milazziani”, in questa vicenda ci sono un po’ tutti. Un intellettuale di destra che per difendere il diritto alla libertà di espressione di un’artista di sinistra allievo a sua volta di un grande scrittore anch’esso di sinistra litiga con un partito (il Pdl) e si dimette in segno di protesta dal suo incarico. Questo non poteva non accadere in Sicilia, terra che sulle strane convergenze ha edotto da sempre il Paese. Protagonista, suo malgrado, della vicenda è Pietrangelo Buttafuoco, giornalista di Panorama e ormai ex presidente del Teatro Stabile di Catania. Ebbene, Buttafuoco si è dimesso dalla sua carica per difendere l’operato, l’onore e l’indipendenza del suo sodale Giuseppe Dipasquale, direttore e regista “reo” di portare in scena le opere del suo maestro Andrea Camilleri tanto sgradite ai pidiellini locali quanto amate dal pubblico che affolla i teatri. Da qui le dimissioni del presidente, irritato per una vicenda dai contorni pretestuosi e strumentali. Ma andiamo con ordine. Tutto ha inizio da un’interpellanza del Pdl all’Ars sulla gestione dello Stabile di Catania (“Verifica sulla gestione del Teatro Stabile di Catania” si legge) con l’intento di indagare non solo sulla gestione amministrativa ma anche di mettere il becco sui legittimi diritti d’autore per opere firmate dallo stesso direttore.

Ma, a conti fatti, riesce difficile capire la motivazione del perché questo teatro sia finito sotto osservazione da parte dei deputati regionali del Popolo della libertà. Prima di tutto perché i numeri dello Stabile di Catania parlano chiaro. Sotto la presidenza Buttafuoco infatti il teatro ha messo in piedi una squadra che ha portato successi e tournée in tutta Italia (come appunto Il Birraio di Preston, firmato da Camilleri e Dipasquale che è stato ospitato dai maggiori teatri italiani dal Piccolo di Milano al teatro Valle di Roma). Inoltre quest’ultima gestione, in un momento di crisi economica, ha portato un notevole aumento di introiti e di abbonamenti (da settemila ad oltre diecimila) rispetto alla precedente direzione che aveva lasciato da parte sua un debito di una certa rilevanza.

E, cosa singolare, l’interesse investigativo da parte del Pdl non si capisce anche perché sembra essere tutto a senso unico. Basta guardare all’altra sponda della regione e vedere che cosa succede all’altro Stabile, quello di Palermo, che a quanto sembra è sommerso dai debiti e che rischiava addirittura di non poter proporre nemmeno il cartellone. I maligni indicano però che il motivo della mancata attenzione sarebbe che a dirigere il teatro qui sia Pietro Carriglio, uomo che sta molto a cuore a Gianni Letta. Ed è proprio qui che si svela con tutta probabilità il reale interesse a mettere i bastoni tra le ruote allo Stabile di Catania. Ragion per cui se l’opera di Andrea Camilleri ha rappresentato l’innesco polemico per la bomba, il vero obiettivo di questa storia dall’intreccio tutto siciliano è proprio il ruolo di Giuseppe Dipasquale. Ruolo, quello di direttore. appetito e ambito così tanto che è riuscito a mettere d’accordo per paradosso pidiellini e uomini di Raffaele Lombardo altrimenti noti come cane e gatto o diavolo e acqua santa. E questo idillio si spiegherebbe data l’aria di elezioni anticipate che si respira anche sull’isola. Insomma, dietro alla levata di scudi del Pdl ci sarebbe tanto una sterile motivazione legata non si sa quanto ai diritti d’autore, quanto al pedigree di Camilleri e quanto invece a un calcolo politico finalizzato alle beneamate poltrone.

E dire che la gestione di Buttafuoco allo Stabile di Catania ha rappresentato una buona nuova in una città dove vuoto culturale e politico camminano di pari passo. Una conduzione vivace e interattiva che ha portato risultati non solo in termini di numeri ma anche di allargamento dell’offerta culturale. Che dire, ad esempio, dell’opera di divulgazione messa in campo con gli incontri letterari che hanno visto ospiti nel capoluogo etneo personaggi come Nicolai Lilin, Francesco De Gregori, Antonio Scurati, Edoardo Bennato e Giuseppe Tornatore. Ma anche prime firme del giornalismo come Pietro Calabrese, Francesco Merlo e Marcello Sorgi? Un teatro, quindi, che esisteva anche fuori dal palcoscenico e che agiva sempre più spesso come sostituto del grave deficit di iniziativa culturale che la città continua a dimostrare. Un teatro, poi, che aveva dopo tanto tempo riaperto le porte ai giovani talenti come Vincenzo Pirrotta e Giampiero Borgia diventando nuovamente centro di sperimentazione. Ma la storia arriva ad assumere anche dei contorni grotteschi. Basti pensare che proprio sotto questa direzione che è stato portato per la prima volta sul palcoscenico italiano Come spiegare la storia del comunismo ai malati di mente l’opera di Matei Visniec sulla tragedia del socialismo reale che ha dovuto peregrinare anni e subire il solito ostracismo prima di trovare quel palcoscenico che è stato proprio quello di Catania. Ma forse chiedere comprensione e apprezzamento per tutto questo da parte di un Pdl che anche in questa storia ha dimostrato la solita cecità culturale unita a un calcolo politico spregiudicato è davvero troppo. Tempo da Michele Serra diceva che gli scrittori di destra sono doppiamente sfortunati, perché ignorati dai lettori di sinistra e perché gli uomini di destra non leggono. Figurarsi, allora, se questi stessi possono avere rappresentanti politici che capiscono l’importanza del teatro.

Antonio Rapisarda (Il Secolo)

Nessun commento:

Posta un commento